lunedì 18 aprile 2016

Café au lait!

Francesca Genti, La febbre, Castelvecchi

Dopo un mese esatto, torna la rubrica café au lait: letture alternative, libri da paesi lontani, editoria indipendente, bibliodiversità, digitale e in generale tutto quello che ti fa dire olè!

Torna con un libro del 2011:

"Giorno dopo giorno il mare avanza, inesorabilmente mangia la città, metro per metro, come un colloso melanoma. Scordatevi l'azzurrità e la freschezza dell'acqua, il sapore del sale, l'effervescenza delle onde, questo nuovo mare è nero, composto quasi esclusivamente da catrame, tuttavia, se si vince la pigrizia e ci si spinge al largo se ne incontrano porzioni più pulite, non più nero catrame, ma fango e detriti. Ci si mette un po' ad abituarsi, ma poi ci si fa il callo e non su rinuncia, di tanto in tanto, a una bella nuotata".

All'indomani del fallimentare Referendum sulle trivelle, mi è tornata in mente questa scena di questo romanzo molto potente e raffinato, che l'editore mi ha aveva inviato all'epoca e che ringrazio ancora. 
L'autrice è una poetessa ed editrice di grande talento. La sua casa editrice si chiama Sartoria Utopia, ed è un progetto pieno di luce e bellezza. Il romanzo La febbre, invece, di contro, è una distopia, dove la bellezza della scrittura però è fatta salva. In un'Italia in cui ci si lamenta che non esistono scrittori veri, che sappiano scrivere sul serio, Francesca Genti è una di quelle autrici che smentiscono tutti i luoghi comuni. Lo stile qui è curatissimo e nonostante lei sia una poetessa questa prosa - rara eccezione nella sua corposa produzione di versi - è degna di capolavori assoluti come La strada di Cormac McCarthy, Body Art di Don DeLillo e Cani neri di Mc Ewan. Questi sono i riferimenti che a me sono venuti in mente leggendo, ma se ne possono ritrovare altri. Per me questo è un gioiello editoriale anche per titolo e copertina.

I protagonisti sono tre amici in età avanzata che si trovano a vagare ai limiti di una città ormai distrutta dal degrado, tra Orti Transgenici, capannoni di fabbriche e un perenne tramonto senza giorno e senza notte. L'unica attività strutturata è un gioco al massacro: vince chi riesce a contare il maggior numero di cani che si suicidano. Gli animali sono molto importanti in questa storia: ci sono bestie misteriose e mutanti che rendono il mondo descritto da Francesca Genti un vero Universo con le sue regole precise. E ci sono guardiani violenti ovunque. In una società dove tutto è consentito, la pornografia è la normalità e l'amore è trasgressione, non resta speranza e non esiste futuro.

"Avere la fortuna di possedere una maschera a raggi infrarossi e guardare il fondale è un'esperienza unica. Sotto c'è la città che il mare ha mangiato".

 Ma a cosa servono le distopie? Per quel che posso capire io, ad esempio della questione delle trivelle (posto che non ho gli strumenti per sapere davvero), è che ad abusi e a trascuratezze di tutto ciò che è vitale e naturale corrispondono degli scenari possibili come dirette o indirette conseguenze. Chi scrive una distopia vuole lanciare semplicemente un campanello d'allarme, è una voce che ricorda cosa potrebbe succedere, se. 

"Case, fabbriche, centri commerciali completamente ricoperti, annegati nel catrame, sono diventati tane di creature che si sono adattate velocemente al nuovo ecosistema".

Trovo che questo genere di romanzi abbia una funzione sociale, oltre che letteraria. Non solo un esercizio della fantasia, ma anche dell'etica, del senso di responsabilità. E spero lo ricercherete, questo libro, in un'epoca mordi e fuggi in cui i romanzi durano meno di cinque minuti sugli scaffali.

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